PARTO E PANDEMIA. UNA CHIACCHIERATA CON DANIELA CANZINI (MADRE ATTIVISTA, VOCI DI NASCITA APS) E BRENDA BENAGLIA (ANTROPOLOGA, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA).
di Laura Rizzati e Marta Eutelia
16 Luglio 2021
L’attenzione del nostro Osservatorio Esterno sull’argomento “parto e pandemia” è stata catturata dalla seguente indagine made-in-italy realizzata da: Daniela Canzini, madre attivista e presidente di Voci di Nascita Aps e Brenda Benaglia, antropologa presso l’Università di Bologna.
Il lavoro esamina gli impatti a breve termine della pandemia in connessione all’argomento nascita, attraverso il caso studio di Bologna.
L’articolo che presenta ufficialmente l’indagine è in lingua inglese ed è stato pubblicato sulla rivista online Frontiers in Sociology il 22 Aprile 2021 con il titolo “They Would Have Stopped Births, if They Only Could have”. Lo puoi visualizzare al seguente link: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fsoc.2021.614271/full .
Mosse da un acceso interesse per questa pubblicazione abbiamo proposto a Brenda e Daniela una chiacchierata scritta per raccogliere ulteriori spunti di riflessione e seguire il divenire di questa importante indagine.
Qui di seguito riportiamo l’abstract in italiano dell’articolo e a seguire vi presentiamo con grande piacere quanto è emerso dal nostro dialogo con le autrici stesse.
“Le avrebbero fermate le nascite, se solo avessero potuto”: Impatti a breve e lungo termine della pandemia COVID-19: un caso di studio da Bologna, Italia
– ABSTRACT –
Brenda Benaglia, Università di Bologna
Daniela Canzini, Voci di Nascita
Questo articolo affronta gli impatti a breve termine della pandemia COVID-19 in Italia e accenna ai suoi potenziali effetti a lungo termine. Anche se alcuni potrebbero volerlo, la nascita non si ferma durante una pandemia. In tempi di emergenza, le pratiche di assistenza alla nascita devono essere adattate per salvaguardare la salute delle madri, dei bambini, degli operatori e delle operatrici, nonché della popolazione generale. A Bologna una delle misure emergenziali impiegate dagli ospedali locali in risposta all’insorgere della pandemia di COVID-19 è stata quella di sospendere il diritto delle donne ad essere accompagnate da una persona di loro scelta per l’intera durata del travaglio e del parto in ospedale. In questo lavoro, guardiamo a come questa misura è stata contestata dalla comunità locale di attiviste e attivisti della nascita. Attraverso l’analisi di una campagna sociale promossa da Voci di Nascita – un’associazione di genitori, operatori e attivisti – esaminiamo come gli attori sociali hanno negoziato il complesso equilibrio tra salute pubblica e diritti riproduttivi in un momento di crisi. Dalla ricerca emerge che questo processo svela diverse criticità strutturali che caratterizzano l’assistenza alla maternità a livello locale e nazionale, tra cui la (ri)medicalizzazione della nascita, il discorso sul rischio e sulla sicurezza, la frammentazione interna al mondo dell’ostetricia italiana e la fragilità dei diritti riproduttivi. L’esperienza “covidiana” ha certamente costretto a rimodellare il percorso di cura del parto durante il picco dell’emergenza, ma suggeriamo che abbia anche offerto un’opportunità per ripensare al modo in cui la nascita è concepita, vissuta e accompagnata in questi tempi di incertezza globale senza precedenti, e oltre.
La campagna sociale #insiemesiconcepisce #insiemesipartorisce promossa da Voci di nascita Aps è culminata, durante il lockdown nell’aprile 2020, con l’invio di una lettera indirizzata alle maggiori autorità politiche e sanitarie bolognesi per denunciare la pratica di separazione tra le partorienti e i propri partner durante l’intera durata del travaglio in nome della sicurezza e del contenimento del contagio. Insieme all’antropologa Brenda Benaglia, avete poi avviato una ricerca raccogliendo le esperienze dei diretti interessati tramite un questionario indirizzato da un lato alle donne che hanno partorito (e ai loro partner), e dall’altro agli operatori della nascita, in primis le ostetriche delle strutture sanitarie bolognesi. Daniela, che effetti ha sortito la lettera sulle autorità sanitarie bolognesi? Ha avuto ripercussione anche al di fuori del territorio?
Anzitutto grazie per questo spazio. Come ricordavate, a un mese dall’inizio del confinamento totale, l’associazione di cui sono presidentessa, Voci di Nascita Aps, ha inviato una lettera formale, e al tempo stesso molto accorata, alle autorità politiche e sanitarie locali in rappresentanza di genitori, professionisti e attivisti della nascita. L’obiettivo era precisamente quello di denunciare la sospensione temporanea del diritto delle donne ad essere accompagnate da una persona di propria scelta durante il travaglio e il parto negli ospedali cittadini.
Quello che è importante sottolineare è che questa stessa lettera è stata messa a disposizione per essere allegata da decine di genitori alle loro dirette comunicazioni e richieste di informazioni agli uffici per le relazioni con il pubblico degli ospedali dove stavano immaginando di partorire e ai quali hanno dichiarato di aderire e sostenere la nostra mozione. Per gli operatori sanitari aderenti, abbiamo fatto noi da tramite, per garantire loro anonimato a tutela di eventuali ripercussioni nell’ambiente ospedaliero.
Questo è stato un punto di forza fondamentale, l’aver sostenuto un attivismo sia rappresentativo, sia diretto e ha contribuito al fatto che le autorità abbiano risposto, aprendo di fatto un dialogo/confronto con l’associazione e i suoi rappresentanti. Poco dopo, anche grazie alla graduale diminuzione dell’emergenza e alla progressiva sistematizzazione delle evidenze scientifiche che man mano venivano prodotte, le misure più restrittive sono state calmierate e la comunicazione è diventata più chiara: i partner o una persona di fiducia a scelta poteva essere presente in sala parto dall’avvio del travaglio attivo sino a poco dopo la nascita (come del resto avviene ancora oggi).
La campagna ha avuto molta risonanza e abbiamo iniziato a ricevere segnalazioni e richieste di aiuto provenienti sia da fuori città, sia da tutta Italia per la verità, e le differenze di gestione della crisi hanno evidenziato grandi disparità; al Sud, per esempio, sappiamo che alcune misure molto restrittive sono ancora operanti. La campagna ci ha anche messo in contatto operativo ed abbiamo supportato altre realtà associative ad avviare azioni locali, in Puglia con Rinascere al Naturale ad esempio.
Potete raccontarci cosa è emerso dalle testimonianze di chi ha partorito presso le strutture sanitarie di Bologna durante l’emergenza pandemica, tra preoccupazioni e speranze, e dai racconti degli operatori sanitari presenti (ostetriche in particolare)? Ci sono aspetti per cui i due punti di vista trovano corrispondenza oppure si distinguono?
L’elemento fondamentale emerso è l’importanza, per una partoriente, di non trovarsi sola durante il travaglio e il parto e questa è una consapevolezza molto sentita tanto per i genitori, quanto per le ostetriche. Data la situazione emergenziale causata dalla pandemia e la conseguente necessità di riorganizzare i servizi a garanzia della tutela della salute di tutti, l’atmosfera di incertezza e paura dei primi tempi ha influito sia sulle aspettative, i desideri e i timori dei genitori ma anche sulla postura e sulla pratica del personale sanitario che abbiamo tutti visto operare in condizioni complicatissime.
Diverse donne hanno dichiarato di aver avuto grosse difficoltà a contemplare la possibilità di partorire senza il proprio compagno o la propria compagna accanto, in ospedale di essersi sentite impaurite e abbandonate, alcuni partner poi di essersi sentiti impotenti trovandosi ad aspettare una telefonata nel parcheggio di un ospedale. Molti genitori hanno riportato però anche di comprendere la necessità delle restrizioni e di ritenersi tutto sommato “fortunati” per essere riusciti a condividere almeno i momenti finali del travaglio di parto. Questo è forse il punto su cui le testimonianze di genitori e ostetriche divergono maggiormente: paradossalmente, la consapevolezza del diritto a un accompagnamento continuativo è stata più palese nelle parole delle ostetriche, soprattutto quelle più giovani che hanno avuto parole anche piuttosto dure nei confronti di certe restrizioni giudicate tutto sommato non necessarie e, anzi, lesive anche del loro stesso diritto a fornire un’assistenza adeguata.
Rispetto alle conoscenze dei genitori è stato necessario un coordinamento ed un’azione forte di advocacy da parte dell’associazione in quanto non esiste una rappresentanza formale istituzionalizzata dei diritti di nascita, non esistono realtà come le rappresentanze sindacali per i lavoratori o quelle dei consumatori per chi acquista servizi. La nascita è ancora un tema trattato solo da uno sguardo prettamente sanitario e in questa occasione è emerso chiaramente come anche all’interno dell’ambito sanitario la compresenza di diversi approcci e un atteggiamento garantista abbiano creato disagi e un senso di impotenza ai protagonisti “sani” di un evento che trova nella struttura ospedaliera una forte ingerenza nel dettare il contesto dell’esperienza.
Dalla nostra osservazione i contesti in cui i diritti sono stati maggiormente rispettati, sostenuti da abbondanti indicazioni procedurali sia da OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sia da ISS (Istituto Superiore della Sanità), presentavano in primis un fronte ostetrico compatto e attento ai bisogni del nascere e a supporto uno staff medico orientato agli stessi valori condivisi e ad una grande fiducia della gestione ostetrica. I luoghi che hanno mostrato criticità, sono quelli dove queste anime hanno lavorato su fronti non allineati, e con dinamiche interne poco limpide.
L’indagine ha messo in luce quanto i diritti riproduttivi, in un momento delicato come il parto, possano diventare tutto d’un tratto fragili e di conseguenza anche non rispettati. Certamente la campagna di Voci di Nascita Aps ha avuto un impatto importante e raggiunto risultati immediati nell’aprile 2020 a Bologna e sappiamo che continuerà a mantenere alta l’attenzione sui diritti. Quali pratiche ritenete efficaci a contributo della loro tutela? Quanto c’è, oltre l’aspetto sanitario, dietro il dare alla luce?
Il nostro impegno, come attiviste e ricercatrici, rimane quello di fare cultura attorno alla maternità e alla nascita, dunque la questione dei diritti continua a essere centrale così come il nostro impegno affinché se ne parli, se ne discuta e ciascuno possa prendere posto e avere voce attorno a un tema che ci riguarda davvero tutti e tutte. Il successo immediato della campagna si è basato probabilmente sul fatto che proveniva dall’esterno dell’ambiente ospedaliero e che era a comunicazione apertamente “politica”, nel senso più nobile del termine. D’altra parte, non possiamo prevedere gli effetti a medio e lungo termine della pandemia sulle pratiche e sulle politiche di assistenza alla maternità. Crediamo però che saranno in gran parte determinati dal coinvolgimento attivo, corale e diretto di chi si occupa del nascere, delle autorità sanitarie e soprattutto dei genitori e della società tutta.
Non serve il nostro studio per mostrare quanto ci sia dietro il dare alla luce oltre all’aspetto sanitario. Quello che può essere interessante notare è che, paradossalmente, ultimamente è stato proprio un virus a farci apprezzare le implicazioni sociali del processo di nascita!
Sì, infatti! Questo vostro lavoro potrebbe però anche essere il punto di partenza di una riflessione più approfondita intorno il caso bolognese e in generale sulla tutela dei diritti della nascita durante l’emergenza sanitaria che viviamo. Proprio alla fine dell’articolo dichiarate di non aver potuto analizzare cosa è successo fuori dagli ospedali, le cure pre e post-natali, la relazione di coppia e, più in generale, le relazioni interpersonali durante la quarantena. Vi siete fatte comunque un’idea?
Abbiamo iniziato a cogliere gli spunti che ci sono arrivati durante la ricerca dello scorso anno, sì. E infatti abbiamo deciso di proseguire lo studio andando proprio a vedere che cosa è successo al di fuori dei perimetri ospedalieri, in sostanza come ci si è presi cura del nascere nei suoi tempi lunghi, soprattutto quello del puerperio che come le doule ben sanno è anche quello dove a nascere non sono soltanto bambini e bambine neonate, ma anche le madri e i padri.
La ricerca è ancora in corso ma vi rimandiamo volentieri a una prossima chiacchierata su questo, augurandoci per allora di poter volgere al passato alcune espressioni che ancora oggi, a più di un anno e mezzo dall’insorgere della pandemia di Covid-19, caratterizzano l’accompagnamento alla nascita nel nostro Paese.
Secondo una visione più ampia, oltre l’evento nascita in sé, in che modo madri, padri, attiviste/i e altre professioniste e professionisti della nascita possono trasformare il processo di separazione fisico, emotivo e esperito in intrecci e connessioni, sostegno e accompagnamento efficaci?
Integrando e dando valore. Sappiamo bene quanto la mancanza sia spesso molto più attivante della comfort zone. Ma come dite bene voi nella vostra domanda, tutto ruota attorno all’esperito.
L’indignazione nata nei membri dell’associazione e nella quasi totalità del mondo attivista vicino alla nascita, è stata comunque parziale e di nicchia. Rappresenta una visione, un’aspettativa, una scelta che richiede una condivisione a largo, larghissimo raggio, perché possa realizzarsi e garantire contesti adatti a nascere con cura e rispetto del volere di chi dalla vita si sta facendo attraversare, e di chi tutto questo vuole proteggere e accompagnare, per dare un sapore a quel campo/famiglia in cui arriviamo, e che in quei momenti si realizza come un’impronta nel cuore, grazie alla qualità della presenza di chi c’è.
Incontrarsi tra chi si è mosso, riconoscersi e fare rete, per sostenere il lavoro singolo e collettivo di ognuno di noi: è in questo che sentiamo di trasformare in modo efficace quanto vissuto da madri, padri e neonati durante la pandemia.
Grazie tante! E’ stato un vero piacere incontrare voi e la vostra indagine sul campo. Attendiamo con pieno interesse l’evoluzione di questo importante lavoro e saremo contente di poterci confrontare nuovamente su come, in seguito all’esperienza “covidiana”, ci si è presi cura del nascere nei suoi tempi lunghi e su tutto quello che di importante ci sarà da mantenere sotto osservazione verso una cultura della nascita diffusa, attenta e partecipata.
Grazie ancora di cuore a:
Brenda Benaglia (brenda.benaglia@unibo.it) lavora nel campo dell’antropologia medica e si interessa di riproduzione e politiche della cura. La sua ricerca dottorale ha riguardato la figura della doula in Italia. All’Università di Bologna è assegnista di ricerca e collabora con il Centro Studi e Ricerche in Salute Internazionale e Interculturale.
Daniela Canzini (danielacanzini@vocidinascita.org) è una madre attivista e ricercatrice indipendente di tematiche sociali legate alla nascita e alla genitorialità. È Presidentessa di Voci di Nascita, associazione bolognese di genitori e operatori sanitari di area materno e infantile che ha come obiettivo fare della nascita un valore politico e sociale. Per sostenere le attività di Voci di Nascita Aps potete richiedere di associarvi a info@vocidinascita.org.